L'editoriale di Minzolini di pochi giorni fa è l'ennesima prova di uno scontro alimentato più dalle opportunità politiche che da un serio interesse di ricerca della verità storica.
Gli eredi del PSI che fu sono ancora oggi impegnati in una battaglia per la riabilitazione del vecchio segretario, e di un partito sgretolatosi assieme alle fondamenta della prima Repubblica, quasi a credere che, riscrivendo la storia, scacciando così le ombre del proprio passato, possano riaffezionare quell'elettorato, che conserva, indelebile nella memoria, quel marchio di sfiducia sulle insegne del partito. Il centro-destra, anch'esso nell'elenco degli estimatori, ha dedicato un posto nell'altare dei propri idoli, a quell'uomo che tanto ha contribuito all'affermazione di Berlusconi, e di altri importanti imprenditori della Milano degli anni '80. Proprio qui si concentra il dibattito più aspro su Craxi e i socialisti: i cosiddetti “anni ruggenti,” la “Milano da bere,” distolgono sia i più accesi sostenitori, che gli stessi detrattori, dall'analisi della politica italiana di quegli anni. Il vero obbiettivo del dibattito-Craxi dovrebbe essere incentrato sulla ricostruzione della politica di uno dei personaggi-chiave del passato recente della Repubblica italiana. Craxi, indipendentemente dai meriti, dagli errori commessi o dal corso preso dagli eventi, ha accompagnato uno dei periodi forse meno conosciuti della nostra storia (probabilmente per comodità), che ci piaccia o no. Ad oggi, è necessario trasferire il dibattito dalle aule della politica alle sedi della ricerca storiografica. Le rivendicazioni del politico Craxi devono necessariamente passare prima per l'ottenimento di una verità storica, la quale non può venire inquinata da interessi di partito.
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