domenica 13 dicembre 2009

Un Nobel controverso



L'accoglienza di Obama alla cerimonia di consegna del Premio Nobel è stata fredda, pochi applausi durante il suo discorso di ringraziamento. Di una simile eventualità, il Presidente Usa probabilmente ne era a conoscenza: ad Oslo, Obama ha portato con sé il pesante fardello del varo della nuova strategia militare in Afghanistan – concretamente, l'invio di altre 30.000 unità al fronte – una scelta che non è piaciuta alla platea dell'Istituto Nobel, come non è piaciuta all'opinione pubblica statunitense, visti i recenti sondaggi, che segnano il più alto calo di consensi dall'inizio della sua presidenza.

Obama ha mantenuto il suo discorso su toni generali, per non dire vacui, e ha suscitato inoltre non poche contraddizioni nelle sue tesi. Ha mosso una velata critica all'amministrazione Bush, denunciando che gli Stati Uniti non possono sollecitare un tempo altre nazioni a rispettare il diritto e le convenzioni internazionali, e poi infrangere le stesse regole che sostengono di difendere. E' probabilmente un'ammissione di colpa delle violazioni dei diritti umani nelle prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib, e del conflitto in Iraq. Per la salvaguardia e la diffusione della democrazia e dei valori democratici, è necessaria una pace “giusta e durevole,” un obbiettivo che per essere raggiunto, ha bisogno di una guerra “giusta” e necessaria. Gli Stati Uniti, nei sessant'anni di storia dalla fine della Seconda guerra mondiale, hanno ricoperto un ruolo egemone all'interno del sistema internazionale, che Obama ha rivendicato come difensore della democrazia nel mondo. La pace durevole si instaura con la sconfitta della minaccia anti-democratica: il caso dell'Europa dopo la sconfitta del Terzo Reich.

E' l'ennesima conferma delle grandi capacità retoriche di Obama, che lascia comunque sul campo diversi punti interrogativi. Alla figura dell'uomo, si affianca la figura del presidente. Obama dice chiaramente che l'accettazione di determinate soluzioni sono dovute al ruolo da lui ricoperto. Il compito al quale deve sempre fare riferimento è l'assicurazione della salvaguardia del suo paese. In realtà, il perenne concetto di “America sotto attacco” è nient'altro che un alibi che scagiona l'America da determinati obblighi internazionali.
Un altro punto di attrito con la platea di Oslo è stato il rifiuto di Obama a firmare la moratoria per le mine anti-uomo, documento che tra i non firmatari - oltre agli Stati Uniti – si aggiungono i nomi di Russia, Cina, Birmania, India e Pakistan.

Era quindi troppo avventata la scelta di Obama come premio Nobel 2009 per la pace? Si può leggere nella motivazione sostenuta dalla commissione: “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli.” Più che un riconoscimento, questo è stato certamente un incitamento a proseguire i lavori. Al momento dell'assegnazione, Obama aveva già ottenuto i suoi primi successi in campo diplomatico: la decisione di chiudere il super-carcere di Guantanamo; l'apertura al mondo islamico alla conferenza de Il Cairo (e l'ammissione dei crimini israeliani nei territori palestinesi); la distensione delle relazioni diplomatiche con la Russia di Medvedev, in seguito all'abbandono del progetto dello scudo internazionale tanto caro a Bush.
Tutto ciò non faceva altro che far pensare ad un reale cambio di rotta, rispetto agli ultimi otto anni di disastrosa presidenza repubblicana. Lo slancio iniziale si è presto affievolito, per non dire che c'è stata una retromarcia negli intenti del nuovo corso Obama. L'unico risultato ottenuto in Israele dal segretario di Stato Hillary Clinton, è stata una tregua di 10 mesi con il premier Netanyahu nella costruzione di nuove colonie israeliane; dicembre 2011, data stabilita per il ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan, ormai è solo un miraggio, e dopo lo scandalo dei brogli elettorali che hanno sancito la conferma di Karzai alla presidenza afghana, l'opinione pubblica si è posta diverse domande sulla vera natura della missione in Medio Oriente (stiamo esportando democrazia, o stiamo proteggendo un semplice burattino?). Gli Stati Uniti stanno perdendo diverso terreno nel campo della diplomazia internazionale, tanto che è a rischio la posizione di egemonia nel sistema, a favore di nuove potenze come Cina e India, che si stanno espandendo – sia economicamente che politicamente - ad una velocità che il mondo occidentale fatica a seguire.

La figura di Obama, ad oggi, sembra fragile come un castello di carte: è probabile che non sia puramente circostanziale l'augurio, a fine discorso, per un impegno politico internazionale condiviso per la salvaguardia del clima. Il chiaro rimando al Cop15 che si sta tenendo in questi giorni è forse una delle poche sfide rimaste ad Obama per riacquistare credito davanti l'opinione americana, e per scongiurare il declino annunciato della nazione.


Per leggere il discorso integrale di Obama, tradotto in italiano:


Foto: Reuters/Kevin Lamarque

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